Il lavoro è uno dei diritti fondamentali dell’essere umano, talmente importante da essere universalmente riconosciuto. Avere un lavoro consente non solo la sussistenza primaria, l’acquisto di beni o il concedersi dei piaceri, ma rappresenta anche qualcosa di più importante a livello personale: conferisce prestigio e dignità, permette di ottenere un senso di realizzazione personale e contribuisce a definire l’identità di ciascuno.

Nella società dei consumi si tende a lavorare sempre di più per aumentare il proprio tenore di vita e l’individuo viene sempre più definito da ciò che “fa” anziché da ciò che “è”; più si lavora e più si ottiene approvazione sociale. Nel 1995 Leth riassumeva il dilemma dell’impiegato: “per avere un buon tenore di vita bisogna guadagnare un buon salario. Per guadagnare un buon salario non puoi avere una vita”.

Oggigiorno sono molte le persone che investono troppe ore della loro giornata lavorando e sono sempre più in aumento i casi di dipendenza da lavoro, chiamata anche “workaholism”. Il termine workaholism, o “ubriaco dal lavoro”, è stato coniato nel 1971 negli Stati Uniti per la sua stretta somiglianza con l’alcoldipendenza, dato che costituisce un fenomeno pervasivo non riconosciuto dalla società. Poiché il “workaholism” è accettato e promosso in quanto attività socialmente produttiva, viene anche definito “dipendenza ben vestita”. In questa dipendenza, diversamente da altre, la gratificazione non è immediata: è richiesto un impegno e uno sforzo, per ottenere un prodotto o un servizio, dal quale si riceve una gratificazione economica o un’altra gratificazione spesso, appunto, attesa.

E’ una problematica che colpisce più i maschi delle femmine, anche se inizia ad essere in aumento anche per queste ultime e, in particolar modo, i liberi professionisti, poiché possono rimanere intrappolati dalle continue richieste e prestazioni sempre più elevate.

La dipendenza da lavoro si sviluppa in maniera progressiva dove, tendenzialmente, il lavoro permette di alleviare l’ansia e di sostituire la bassa autostima attraverso una sensazione di gratificazione personale, dato che il grande impegno e la dedizione procurano la sensazione “di valere molto”. Il lavoro tende a diventare uno stato d’animo, una fuga dal provare emozioni, intimità e responsabilità nei confronti degli altri; diventa un rifugio su cui poter esercitare il proprio controllo e sentirsi efficienti.

Chi presenta questo tipo di dipendenza perde progressivamente il controllo sulla sua attività lavorativa: il lavoro diventa il pensiero e l’attività principale e ci si convince di poter fare sempre di più. Diventa difficile staccare sia a casa sia in vacanza e ogni proposta di svago, quale gioco e relax, tende ad essere respinta per impegni lavorativi dai quali non si riesce a star senza. Ci si convince che l’unico modo di vivere è lavorare, e lavorare sempre più duramente senza rendersi conto delle conseguenze negative che ne derivano. Infatti, la trascuratezza della famiglia diventa saliente e risulta l’elemento che più precocemente si altera; oltre a logorarsi il legame di coppia si logora anche il legame con i figli, rischiando di creare difficoltà anche in loro vista “l’assenza” di un genitore. Nel soggetto dipendente tendenzialmente emergono anche sintomi fisici quali mal di testa, stanchezza fisica, irrequietezza, ansia, impazienza, irritabilità, vuoti di memoria, disturbi del sonno ma, nonostante ciò, l’ammirazione esterna per l’enorme impegno lavorativo non fa che rinforzare positivamente il comportamento e non lascia spazio a sensi di colpa. Spesso il soggetto è un perfezionista che fatica a relazionarsi con i propri colleghi perché pensa che non siano alla sua altezza, conducendolo ad evitare di delegare e ad aumentarsi la mole di lavoro.

Difficilmente il soggetto si accorge di avere un problema e si giustifica ripetendosi che il suo lavoro è un passatempo, che è utile per il mantenimento della famiglia e che è la cosa che ama più fare.

Essendo una problematica complessa da riconoscere, per le ragioni descritte inizialmente, risulta difficile chiedere aiuto e sostegno (solitamente se ne fa carico la famiglia) ma, anche per questo tipo di dipendenza, diventa indispensabile trovare il modo di farlo contattando strutture e professionisti preparati per affrontare tale problematica.

Bibliografia

 

Guerreschi C., New addiction: le nuove dipendenze, Ed San Paolo, Milano, 2005.

Guerreschi C., Workaholic. Dipendenza da lavoro: come curarla, Ed. Guerino, Milano, 2009.

Lavanco G., Psicologia della dipendenza dal lavoro, Ed. Astrolabio, Roma, 2006.

Online:

http://www.psicologi-psicoterapeuti.info/public/pubblicazioni/635.pdf

 

 

Dott.ssa Salima Serafin

 

 

 

 

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