phubbing

Non solo vantaggi dalla tecnologia: il rovescio della medaglia con il phubbing

 

Credo che la maggior parte di noi possa confermare che la tecnologia si sia inserita in maniera importante nelle nostre vite cambiando completamente il nostro modo di vivere e aggiungendo molto di positivo. Allo stesso tempo però, siamo ugualmente tutti consapevoli anche dei danni che essa può produrre.

Ad esempio, tutti sappiamo che l’uso massiccio del telefonino può creare conseguenze negative come la dipendenza da smartphone, le onde elettromagnetiche, la luce blu dello schermo (che può causare problemi di sonno se non anche alla vista e alla pelle) e una carenza di attività fisica. Oltre a queste conseguenze ne esiste un’altra: il phubbing. Ci sono, infatti, degli atteggiamenti che sono stati studiati di recente da diversi esperti e che avrebbero provato una correlazione negativa tra l’uso prolungato e fuori contesto dei cellulari e le relazioni umane.

 

Phubbing: che cos’è?

Dall’incrocio delle parole inglesi phone (telefonino) e snubbing (snobbare), è stato creato il termine phubbing che starebbe ad indicare il comportamento che si avrebbe in un contesto sociale quando, invece di prestare attenzione al nostro interlocutore, ci si isola col proprio telefonino.

Un atteggiamento che nulla avrebbe di positivo in quanto porta a conseguenze negative sia da parte del phubee (chi subisce il phubbing) che da parte del phubber (chi invece lo pratica).

È stato definito un vero e proprio fenomeno di esclusione sociale che porta al peggioramento delle relazioni e a danni nella crescita, quando sono implicati bambini e adolescenti.

Gli effetti sui bambini e sui ragazzi, infatti, sono molto più forti che negli adulti poiché, mentre all’interno di una relazione simmetrica il phubbee può decidere di allontanarsi dal phubber, nel rapporto genitore-figlio questo diventa impossibile date le caratteristiche intrinseche del ruolo genitoriale.

Secondo diversi studi condotti di recente, il phubbing è un problema molto sentito ma, essendosi diffuso in poco tempo, non esistono ancora delle vere regole comportamentali per arginarlo.

Quel che è certo è che è stato rilevato un aumento di danni per mancanza di comunicazione che si identificano con isolamento, distacco emotivo, risentimento, rabbia, delusione, diminuzione del senso di appartenenza e di realizzazione e problemi di autostima.

Il phubbee manifesta un disagio emotivo causato dal comportamento dell’altro che lo porta a sentirsi invisibile. Allo stesso tempo il phubber, senza accorgersene, comincia ad isolarsi e a distaccarsi dalle persone reali per inseguire un mondo virtuale a cui può accedere solo tramite il cellulare e che lo priverà, poco a poco, di relazioni vere e sane.

Come dicevamo, l’uso del telefonino e in generale della tecnologia per avere sempre a portata di mano i nostri contatti, le nostre foto e per poter utilizzare chat e social network in qualsiasi momento, può anche sfociare in una vera e propria dipendenza: la nomofobia.

 

Come si può ovviare al phubbing?

In base al tipo di relazione in cui ci si trova possiamo lavorare con diverse soluzioni.

In generale un atteggiamento assertivo nel comunicare all’altr* come ci si sente quando si viene esclusi, è una buona base che funziona in qualsiasi tipo di rapporto.

Anche cercare di dedicare meno tempo possibile al telefono quando si è con le persone sarebbe già un buon punto di partenza, come provare a disintossicarsi il più possibile dalla vita on line.

Per mettere in atto questi indispensabili accorgimenti ci si potrebbe aiutare lasciando il cellulare in un’altra stanza, specie nei momenti di convivialità come durante i pasti.

Ci si potrebbe infatti dare delle regole da rispettare, valide per tutta la famiglia, che includano orari per l’utilizzo del telefonino e, in casi di lavori al pc, orari che prevedano di staccare per poter stare un po’ all’aria aperta e fare del movimento.

Inoltre, esistono delle applicazioni da avere nello smarthphone che aiutano a limitarne l’utilizzo; ma le risorse migliori sono sempre quelle che possiamo ricavare da noi stessi, senza alcun bisogno di ricorrere ad espedienti esterni. Sto parlando della nostra coscienza e del nostro buon senso: tutti noi dovremmo essere in grado di renderci responsabili di noi stessi e di avere il controllo della nostra vita, o perlomeno dovremmo provarci.

Quando invece questo fenomeno si manifesta in coppia, una buona pratica può essere quella di condividere col partner quello che si sta facendo al telefono. In questo modo l’intimità e la reattività della coppia non andrebbero compromesse.

In ogni caso concentriamoci più sul presente perché è solo godendo del momento in cui siamo che possiamo trarre beneficio dal contesto in cui ci troviamo e sentirci appagati dalle relazioni umane che riusciamo ad instaurare, le uniche in grado di farci stare veramente bene.

 

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