Melancholy- Edvard Munch, 1984

Edvard Munch, Melancholy, Museo Munch, Oslo, 1984.

La noia e la paura del vuoto

Negli ultimi tempi, diversi giovani in contesto psicoterapeutico mi hanno raccontato vissuti di profondo disagio legati alla mancanza di impegni dopo la fine della scuola o degli esami universitari. Parlano di una tensione interna difficile da nominare e la definiscono ‘noia’, vissuta però come un peso, un vuoto ingestibile, quasi una minaccia.
Viviamo in una società iperstimolata, ricca di impegni e responsabilità, in cui ogni pausa viene spesso riempita da uno schermo, un messaggio o un video. Come ha scritto Byung-Chul Han in “La società della stanchezza” (2010), la nostra cultura rifiuta la lentezza, il silenzio, l’inattività. Questo rifiuto ha un effetto collaterale: quando tutto si ferma, molti vanno in tilt.
Anche il periodo del COVID-19 ha evidenziato questo meccanismo: quando il mondo si è fermato e il silenzio ha preso spazio, molte persone si sono sentite sopraffatte. Il blocco forzato ha costretto a un confronto diretto con sé stessi, con le proprie ansie e con il vuoto, senza le consuete distrazioni.
Ancora oggi, la noia continua a essere vissuta da molti non come uno spazio di possibilità ma come qualcosa di ingestibile.

Sotto la noia: ciò che spaventa davvero

Nella mia esperienza clinica la noia è spesso solo la superficie.
Sotto di essa si nascondono ansia, solitudine, tristezza, pensieri caotici, senso di vuoto. Non è la noia a spaventare ma ciò che emerge quando le distrazioni esterne si spengono. Il vero disagio è il contatto con sé stessi.
Il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott ha introdotto un’immagine preziosa: quella del tempo “a maggese”. Il maggese è un terreno lasciato a riposo per rigenerarsi. Allo stesso modo, la noia può essere uno spazio fertile in cui il bambino conosce sé stesso, riconosce le proprie emozioni e sviluppa creatività. Un bambino che impara a tollerare il vuoto diventa un adulto più consapevole e capace di affrontare la complessità.
Non tutti i silenzi sono sterili: alcuni servono a rigenerare; e questo, oggi, facciamo molta fatica a comprenderlo.
Molti ragazzi non hanno paura solo della noia ma di ciò che essa potrebbe rivelare. Temono che nella quiete emergano emozioni o ricordi ingestibili. Ma ciò che spesso emerge in seduta è una verità diversa: quando le situazioni si presentano davvero, questi ragazzi sanno affrontarle molto meglio di quanto temevano.
La paura, quindi, non è della realtà, ma della propria immagine interiore, di una proiezione amplificata da insicurezza e mancanza di fiducia. Talvolta quella paura ha un fondamento reale: mancano ancora gli strumenti emotivi per reggere ciò che il vuoto porta a galla.
In ogni caso, la noia smette di essere solo un sintomo: diventa un’occasione terapeutica. Uno spazio per conoscersi, svilupparsi e diventare più stabili.

Fermarsi e ascoltarsi: neuroscienze e pratiche di consapevolezza

Le neuroscienze oggi confermano ciò che la clinica osserva da tempo.
Momenti di inattività e silenzio attivano la Default Mode Network (DMN), una rete cerebrale implicata nell’introspezione, nella regolazione emotiva e nella creatività.
Quando il cervello non è impegnato da stimoli esterni, si attiva un’attività interna profonda, utile per:
– elaborare esperienze;
– generare idee;
– rafforzare la resilienza emotiva.
Come evidenziato da Raichle et al. (2001) e Andrews-Hanna (2012), la DMN è fondamentale per la costruzione narrativa del sé e per i processi riflessivi.
Una recente ricerca pubblicata su Scientific Reports (Mason et al., 2024) mostra inoltre che pause consapevoli migliorano la flessibilità cognitiva e il benessere mentale. Anche brevi momenti di quiete aiutano a regolare lo stress e a recuperare risorse interne più stabili.

Tecniche di rilassamento: non per fuggire, ma per entrare

Nel mio lavoro utilizzo tecniche come il training autogeno, il rilassamento muscolare progressivo e la mindfulness.
Non servono a riempire il vuoto, ma a stare con il vuoto, a sostenere il silenzio interno, a familiarizzarci con esso e a costruire fiducia nella propria presenza.
Imparare a stare nel vuoto, lasciando emergere ciò che c’è senza scappare, è un passaggio fondamentale per ogni percorso evolutivo.
Solo così si può scoprire cosa c’è da rafforzare, cosa va coltivato e cosa può finalmente essere lasciato andare.

La noia come invito alla conoscenza di sé

Aiutare i ragazzi a tollerare la noia non significa lasciarli soli nel vuoto, ma significa offrire strumenti per abitarlo, accompagnarli a scoprire che fermarsi è possibile e che nel silenzio si può stare. Inoltre, è importante che comprendano che proprio nel vuoto possono emergere risorse, intuizioni e nuove direzioni.
La noia non è un fallimento ma è un invito; un invito a rallentare, a sentire e a conoscersi.

Leggi di più nella mia sezione Articoli & Corsi

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