Illustrazione astratta di figure nidificate che rappresentano una famiglia come sistema relazionale.

Negli ultimi anni mi trovo sempre più spesso a riflettere sul disagio degli adolescenti. È un tema urgente, che incontro ogni giorno nelle storie che arrivano in studio.
Il malessere giovanile non nasce dal nulla e non riguarda “solo” chi lo manifesta.

Il disagio adolescenziale è un segnale. È una forma di linguaggio.
A volte è scomodo, altre volte doloroso, ma sempre comunica che qualcosa, nel mondo interno del ragazzo o nel contesto attorno a lui, è diventato faticoso.

E da qui voglio partire.

Quando la famiglia entra in terapia, tutto cambia

Quando mi chiamano per il problema di un ragazzo, ma in terapia entra tutta la famiglia, il cambiamento diventa più veloce e profondo. Negli anni l’ho visto accadere molte volte.

Quando una famiglia accetta di lavorare insieme ognuno si mette in gioco, ognuno porta la sua prospettiva e lentamente si smette di addossare tutto il peso sul ragazzo.

Il sintomo smette di essere isolato e trova finalmente un contesto che si muove con lui. E qui avviene qualcosa di ancora più interessante: quando ognuno migliora, migliorano tutti. La terapia familiare non funziona perché “si lavora sul figlio”, ma perché ognuno si assume il proprio pezzo di responsabilità. E quando anche solo una persona cambia, cambia: il modo di rispondere, il modo di comunicare, la qualità della presenza, la posizione nel sistema relazionale.

Tutto questo modifica il clima emotivo dell’intera famiglia. Se ognuno migliora anche solo di un passo, l’intero sistema fa un salto di qualità e tutti ne beneficiano, compreso il ragazzo.

Il ragazzo non è escluso dalla responsabilità

Dire che il contesto familiare conta non significa dire che “lui non c’entra”. Ogni adolescente ha il suo carattere, la sua storia, il suo modo di reagire e porta comunque una quota di responsabilità personale nel modo in cui affronta la vita. Il punto non è assolverlo ma non isolarlo.

Anche lui può: scegliere come rispondere, imparare a regolare le emozioni, sviluppare consapevolezza, crescere nella capacità di stare nelle relazioni.

Il contesto influenza, ma non determina.

E quando la famiglia migliora, il ragazzo è finalmente libero di occuparsi anche della sua crescita.

La famiglia dentro il mondo: l’impatto del contesto sociale

Nel mio lavoro utilizzo spesso la metafora delle matrioske.
Ognuno di noi è una matrioska: dentro c’è la propria storia, ma anche quella della famiglia e più in profondità quella del contesto sociale. Allo stesso modo il disagio non appartiene mai a una sola “bambolina”: è sempre l’espressione dell’intero insieme che la contiene.

Per questo dico che anche la famiglia non esiste da sola: se il ragazzo è immerso nella famiglia, la famiglia è immersa nella società. E la società, oggi, è un sistema stanco, contraddittorio, aggressivo, emotivamente impoverito.

È un mondo in cui gli adulti spesso faticano ad essere esempi credibili perché vivono a loro volta in un clima fatto di guerre e tensioni globali, di violenza normalizzata, di disonestà elevata a furbizia, di precarietà continua, di modelli educativi confusi, di ritmi emotivi insostenibili e una costante sensazione di instabilità.

E oltre a queste grandi cose ce ne sono, purtroppo, anche di più piccole (ma potentissime): esperienze quotidiane che i ragazzi assorbono dagli adulti come rancori coltivati per anni, maleducazione normalizzata, mancanza di rispetto nelle relazioni, adulti che parlano male tra loro, conflitti mai risolti che creano distanza, tensioni continue, parole usate come armi, incoerenze tra ciò che si richiede ai figli e ciò che si fa davvero.

Sono anche queste le “micro-esperienze” che educano, anche quando gli adulti pensano di no.

Un ragazzo può anche essere forte, sensibile, intelligente ma se cresce immerso in modelli relazionali fragili o irrisolti, ne risente profondamente. E non perché sia debole, ma perché è permeabile, ancora in formazione, ancora in cerca di riferimenti. E se crediamo che questi comportamenti non abbiano un impatto educativo nel tempo o se pensiamo che non rappresentino un esempio, ci sbagliamo di grosso.

I ragazzi imparano molto più da ciò che vedono che da ciò che viene loro detto nella quotidianità.

Il disagio è un linguaggio del sistema

Il disagio di un adolescente non appartiene solo a lui, né solo alla sua famiglia, ma è del mondo che abitiamo e il mondo è fatto da tutti noi ed ognuno ha la propria responsabilità personale perché, infatti, ognuno ne porta un pezzo.

Questo è il punto centrale. Il disagio di un adolescente non è un corpo estraneo da estirpare; è un linguaggio, è un’indicazione, è un riflesso di qualcosa che si muove nel suo ambiente interno ed esterno.

I ragazzi non sono i “portatori del problema” ma sono i più sensibili alle crepe del sistema e senza il sostegno rispettoso dell’adulto, sentono più forte le incoerenze, la mancanza di sicurezza, la confusione dei modelli. E non sempre riescono a dirlo con le parole né a rendersene consapevoli, ma lo mostrano con il comportamento.

Perché funzionano così bene gli interventi di psicoterapia familiare? Perché restituiscono al ragazzo ciò di cui ha più bisogno: un clima in cui essere sé stesso senza essere schiacciato da ruoli, aspettative o tensioni che non gli appartengono.

Quando la famiglia lavora su di sé si riduce la pressione sul figlio, le relazioni diventano più trasparenti, la comunicazione si pulisce, le emozioni trovano contenimento, il ragazzo non è più il “portavoce” del malessere collettivo.

E allora il sintomo non serve più perché ha fatto il suo lavoro: ha segnalato, ha mostrato, ha parlato.

La responsabilità che condividiamo

Gli adolescenti oggi non hanno bisogno di adulti perfetti ma hanno bisogno di adulti credibili, capaci di assumersi la responsabilità della propria parte. E di un mondo che, pur nelle sue fragilità, provi ad essere più sincero, meno violento, più autentico.

Siamo tutti responsabili del clima che creiamo. E alla fine, sì, basterebbe davvero poco: che ognuno fosse disposto a migliorare anche solo un pochino sé stesso. È spesso da quel piccolo passo personale che nasce un grande cambiamento collettivo.

 

Riferimenti bibliografici

  • Becvar R.J., Becvar S.D., Terapia familiare. Un’integrazione sistemica, Ed. Nuova Ipsa, Palermo, 2014.
  • Andolfi M., Terapia familiare multigenerazionale. Strumenti le risorse del terapeuta. Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2015.
  • Minuchin, S., Famiglie e terapia familiare, Ed. Feltrinelli, Milano, 1974.
  • Watzlawick, P., Beavin, J. H., & Jackson, D. D., Pragmatica della comunicazione umana, Ed. Astrolabio, Roma, 1967.
  • Selvini Palazzoli, M., Boscolo, L., Cecchin, G., & Prata, G., Paradosso e controparadosso, Ed. Feltrinelli, Milano, 1975.
  • Senise T., L’adolescente come paziente, intervento medico e psicologico, Ed. Franco Angeli, Milano, 2007.

 

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